La rosa

La Rosa.

Una sera in un locale notturno di Barcellona, una coppia di giovani vide una ragazza avvicinarsi al loro tavolo. Era una venditrice di rose. A differenza degli altri venditori di rose però, Agata, questo era il suo nome, regalava una rosa ogni cinque vendute, ad un ragazzo. Questo ciò che disse alla giovane coppia. La ragazza, così, acconsentì e lasciò che essa regalò una delle sue rose al suo ragazzo. Notò con piacere che scelse una delle più fresche, ancora chiusa e poco consumata. Il ragazzo la prese e la tenne sul proprio comodino, in ricordo della serata trascorsa e del piacevole accadimento. Pian piano però, cominciò a stare male e ad avere problemi alla vista, come se gli occhi fossero perennemente appannati e spenti. Ben presto, inoltre, subentrarono altre problematiche come giramenti di testa e pressione molto bassa, finché un bel giorno svenne a lavoro. La rosa, intanto, cominciava ad appassire, insieme al ragazzo. Quando il fiore morì, anche egli si spense definitivamente. La fidanzata, andando a casa sua, si accorse della rosa appassita. Dapprima pensò d’essere uscita fuori di senno per via del lutto, poi però prese l’idea sul serio e ricollegò l’evento della rosa con l’inizio dei problemi del proprio fidanzato. Ricordava solamente la fisionomia della ragazza ed il suo nome, così cominciò a girare per i locali della città chiedendo di una venditrice di rose, di nome Agata, molto pallida e dagli occhi azzurri molto chiari, quasi sbiaditi. Le ricerche furono vane, finché una sera di pioggia, un’altra coppia le disse che quella ragazza era una sua conoscente, ma che era morta da tempo e che perciò aveva sicuramente sbagliato persona. Da quel giorno ella si convinse d’aver sbagliato a ricollegare quell’avvenimento alla morte del proprio fidanzato e demorse. Una sera, però, mentre era in un locale della città con delle compagne d’università, vide, in lontananza e di sfuggita, una coppia di ragazzi che vendeva rose, molto simile ad Agata ed al suo ragazzo.

Esperimenti segreti

Nel 1976, in piena guerra fredda, il governo degli Stati Uniti d’America rilasciò al pubblico un rapporto dei servizi segreti
sull’utilizzo, da parte dell’Unione Sovietica, di cavie umane per degli esperimenti che suscitarono molta inquietudine nell’opinione pubblica a causa della loro natura. Il più famoso di essi è l’esperimento del sonno, che consistette nel rinchiudere sei cavie in una cella e nel tenerle sveglie per mezzo di gas eccitanti per diversi giorni, monitorandone le reazioni e i cambiamenti nel comportamento.

Il rapporto, accompagnato da documenti originali e testimonianze, spiegava come la situazione fosse sfuggita di mano agli scienziati russi attorno al sesto giorno dall’inizio dell’esperimento, quando i microfoni smisero di riprodurre i suoni dall’interno della cella. Gli scienziati decisero di proseguire lo stesso l’esperimento, ma di sospendere con la somministrazione dei gas eccitanti. Erano sicuri che le cavie fossero ancora vive, poiché il livello di ossigeno consumato all’interno della cella non era variato dai giorni precedenti.

Qualche ora più tardi rimasero sconcertati quando i microfoni ricominciarono a trasmettere. I suoni che provenivano dalla cella, erano i lamenti delle cavie che imploravano gli sperimentatori di continuare a diffondere i gas eccitanti. Le loro preghiere vennero esaudite, ma gli scienziati decisero di inviare una squadra di militari all’interno della cella per sincerarsi delle condizioni dei sei. Dalle testimonianze dei soldati si evince che essi rimasero profondamente scossi da quanto videro: le cavie non mangiavano da qualche giorno e avevano tutte un aspetto scheletrico. Alcune, sugli arti e sul torace, avevano delle ferite provocate da morsi, probabilmente auto-inflitti. I loro occhi erano scurissimi, infossati e iniettati di sangue. Quasi tutti dondolavano su loro stessi e se ne stavano rannicchiati agli angoli della cella. Uno di loro si voltò verso l’unico medico che aveva accompagnato i soldati e disse: “Ormai non possiamo più tornare indietro. Non posso dormire, ho paura di dormire, tenetemi sveglio”.

Dopo un’accesa e furiosa discussione, il giorno dopo, gli sperimentatori decisero di sospendere l’esperimento. Non si sa nulla della sorte delle cavie, ma alcuni militari sostengono che siano state fucilate, in quella stessa cella che occuparono per nove giorni.

Questa storia destabilizzò molto l’immagine dell’Unione Sovietica agli occhi del mondo, ma i russi prima smentirono tutto quanto riportato dal rapporto, poi replicarono, rendendo pubblico un altro rapporto, stavolta del Kgb, su alcuni esperimenti relativi alla schizofrenia condotti dai servizi segreti statunitensi.

Essi usarono solamente tre cavie, a cui negarono la possibilità di stare insieme a qualsiasi altra persona durante tutta la durata dell’esperimento. Ognuna delle tre cavie avrebbe dimorato in una stanza al cui interno avrebbe trovato solamente un letto per dormire, un lavabo, un bagno ed uno specchio. L’unico altro oggetto presente nelle stanze, sarebbe stato un registratore audio, con cui le cavie avrebbero dovuto registrare ogni proprio pensiero. Qualsiasi cosa passasse loro per la testa, esse dovevano pronunciarlo ad alta voce e al registratore. Se la cavia avesse passato più di tre secondi in silenzio, sarebbe stata redarguita da un segnale acustico. Arrivare al terzo segnale acustico avrebbe significato l’estromissione dal test senza nessun rimborso.

Le cavie cominciarono a cedere già dal secondo giorno del test, comunicando agli sperimentatori di essere esauste e di provare strane e spiacevoli sensazioni come: distaccamento dalla realtà, difficoltà nel percepire il tempo, sensazione di sdoppiamento e di non possedere più un corpo.

Venne loro dato l’ordine di continuare, ma al terzo giorno due delle tre cavie avevano totalmente perso la ragione. Entrambe passarono molte ore davanti allo specchio, giocando e spaventandosi con la propria immagine riflessa, che ormai non riconoscevano più. Per loro l’esperimento venne interrotto.

Fu la terza cavia a sbalordire completamente gli scienziati americani. Smise infatti di parlare al registratore, ma continuò comunque ad esternare i propri pensieri, come fosse un’abitudine. Fu solo dopo qualche ora che gli sperimentatori si accorsero che non stava pensando ad alta voce, ma stava effettivamente parlando, come se ci fosse qualcuno accanto a lui. Si direbbe che anche la terza cavia avesse perso la ragione, ma nessuno degli scienziati riuscì mai a spiegarsi, come mai, quando si specchiò,la sua immagine non venne riflessa.