Il lato oscuro del mio riflesso

Ricordo ancora quel giorno come fosse ieri. Fu da lì che tutto ebbe inizio. Era una mattina come tante e stavo preparandomi per andare a lavoro. Ero in bagno, davanti allo specchio, tutto intento a lavarmi il viso, quando improvvisamente sentii squillare il cellulare che avevo lasciato in carica in cucina. Mi voltai per uscire dal bagno ma la vidi, la vidi bene con la coda dell’occhio. Era la mia figura, riflessa nello specchio, che restò impassibile per un istante prima di sparire dalla superficie vitrea insieme a me che lasciavo la stanza. Sussultai vistosamente, così tornai indietro fiondandomi davanti allo specchio, ma tutto era normale. Il mio riflesso mi guardava basito così com’ero basito io. Pensai fosse stata la mia immaginazione o una suggestione. Andai in cucina e feci appena in tempo a rispondere. Era la mia fidanzata, Anna, la amavo tremendamente, ma da qualche tempo il sentimento stava scemando, riaccendendosi solo in alcune occasioni. Mi disse che per l’appuntamento che ci eravamo dati non c’erano problemi: ci saremmo visti alle sette di sera in piazzetta, quando avrei staccato da lavoro. “Quale appuntamento?”, le chiesi e lei sbottò a ridere. Mi disse che le avevo mandato un sms in cui le avevo chiesto di vederci. Le dissi che andava bene, che mi ero semplicemente dimenticato e riattaccai. Andai poi a leggere i messaggi inviati notando che le avevo effettivamente chiesto di vederci, proprio la sera prima, alle undici e trentasette. Ero sempre stata una persona distratta, non era niente di nuovo quella dimenticanza, anzi, mi era capitato più volte di parlare con le persone e dimenticarmi che ciò fosse avvenuto. Alzai le spalle, tornai a prepararmi e andai a lavoro. Quella sera andammo a fare un aperitivo e fu una fantastica serata, una di quelle serate in cui il sentimento per lei si riaccendeva e tornava la solita passione. Pochi giorni più tardi, ero sempre in salone ed un vento tremendo faceva sbattere tutte le finestre. Anche stavolta sobbalzai, quando avvicinandomi alla finestra, la mia immagine non venne riflessa dal vetro. Almeno così immaginai, ma razionalizzai subito pensando che per via del buio mi fossi confuso nuovamente. Intanto, un mio amico mi mandò un messaggio al cellulare: “Ehi, si, tutto ok. Perché mi chiedi se sto bene? Ci siamo visti ieri!”. Stavolta ricordavo bene di averlo visto; era stata una serata fra amici in cui c’era anche lui. Quello che non ricordavo, però, era il messaggio che gli avevo mandato quella mattina: “Come stai? E’ tanto che non ci si vede!”. Il giorno seguente, ebbi la conferma che qualcosa non andava. Andai in bagno, a farmi la barba, ma mi cadde il rasoio di mano quando vidi che la mia immagine riflessa dallo specchio mi fissava a braccia conserte. Feci un passo indietro, lei rimase ferma. Così mi avvicinai un po’ per guardarla meglio e piegò la testa di lato, incuriosita. Chiusi gli occhi respirando in profondità, quando li riaprii erano sbarrati, ma la mia immagine corrispondeva a quel punto ai miei movimenti, come sempre. Non uscii e non vidi nessuno per tre giorni, ero troppo turbato per farlo. Al quarto giorno mi chiamò  la mia ragazza, dicendomi che non mi avrebbe più voluto vedere dopo la scenata della sera precedente. Le chiesi spiegazioni, ma mi diede del pazzo e mi  riattaccò il telefono in faccia. Andai, anche stavolta, in bagno, per sciacquarmi il viso e riprendermi. Pensai davvero d’esser pazzo, di aver perso la ragione o quantomeno la memoria.  Il mio riflesso, però, mi fissò nuovamente con un ghigno beffardo. Gli chiesi “che vuoi?”, come se fosse normale parlare con la propria immagine riflessa. Mi rise in faccia, poi avvicinandosi al bordo dello specchio se ne sparì. Il giorno seguente mi avete chiamato voi, dicendomi che era stato trovato il cadavere della mia ragazza in casa sua e che sopra c’erano le mie impronte. Oltre a questo non ricordo altro, commissario. Credetemi, non sono pazzo.

Per i fatti di Parigi

Te parleranno de ragioni e ideali,
de sicurezza e giustizia
nun da retta so sleali,
so rivali in amicizia
Te faranno vedè un giornalista,
che dietro ce gode
e davanti se rattrista,
pe na bomba che esplode
innescata da ‘n terorista.
E’ ‘na storia già vista,
che punta sull’emozione
costruita apposta,
non pe la nazione
ma pe raddoppià la posta,
de un sovrano un po magnone.
Nun da retta,
tappete l’orecchia,
parleranno de vendetta,
p’acchiappasse n’altra fetta,
mentre er popolo, asino, raja,
e ce se gioca pure er core
pe piagne chi è che more,
sotto a un corpo de mitraja.

Identikit pt. 2

Quando l’omicida venne interrogato dai colleghi dell’agente Lauren, apparve in stato confusionale e disse di non ricordare nulla dell’accaduto. Ricordava solamente gli attimi prima dell’omicidio e disse di aver ricevuto consiglio di uccidere la propria moglie da un uomo “vestito come una agente dell’Fbi”. Venne chiesto all’assassino di descrivere i lineamenti di quell’uomo così da fare un identikit. Quando lo presentarono all’agente Lauren, essa ebbe quasi un mancamento notando che l’aspetto corrispondeva in tutto e per tutto a quello dell’altro identikit e, quindi, ancora una volta all’agente che l’aveva affiancata per anni. Venne richiesta una perizia psichiatrica per l’assassino mentre la bimba tornò dai propri parenti, avendo detto agli agenti tutto ciò che sapeva sull’accaduto. Quando l’agente Lauren tornò nella casa del delitto, per ispezionare la scena, successe una cosa alquanto strana: un libro cadde dalla libreria, ed era “Mangia, prega, ama – una donna cerca la felicità”. Sembrò come se qualcuno l’avesse fatto cadere di proposito, ma nella casa, l’agente Lauren, era sola. Si accorse, subito dopo, che dal bagno proveniva un rumore d’acqua scrosciante. La doccia era accesa. Quando entrò nel bagno l’agente scoprì che sul vetro vi era una scritta, fatta col dito usando la condensa creatasi grazie al calore dell’acqua: “Ti amo ancora”. Tornata in centrale, Lauren interrogò nuovamente l’accusato. Egli sostenne di aver fatto quella scritta e quando gli venne chiesto il motivo, sostenne d’averla scritta secondo il consiglio dell’uomo dell’identikit, appena prima d’uccidere la moglie. Ricordò inoltre come, poco dopo l’omicidio, quella figura fosse praticamente sparita nel nulla. Non si è mai saputo nient’altro di questa storia ne di chi fosse quell’uomo, ma nella testa dell’agente Lauren è e sarà sempre il suo vecchio compagno, tornato apposta indietro per architettare quell’omicidio e per dirle, che nonostante la mancanza, l’amava ancora.

Identikit

L’agente Lauren era uno degli agenti più anziani ed esperti di tutta Los Angeles. Ormai, da anni, lavorava da solo senza l’apporto di colleghi e senza quasi mai recarsi in centrale. Aveva, negli passati, un collega a cui era legata anche sentimentalmente il quale era morto in una sparatoria durante l’arresto di una banda di spacciatori di droghe. Una mattina ricevette una telefonata dalla centrale; una ragazzina aveva telefonata avvertendo di un imminente omicidio che sarebbe avvenuto di lì a poche ora nei pressi di casa sua. Curiosi su come la bambina avesse potuto avere tale informazione, mandarono l’agente Laurent a verificare. Nonostante non fosse un caso complesso glielo affidarono lo stesso in quanto unico agente libero in zona. L’agente Laurent si diresse verso il luogo del futuro delitto e trovò la ragazzina in lacrime, fuori da casa sua. Le venne indicata la casa a fianco e Laurent fece irruzione, trovando una donna completamente squarciata da un coltello e il marito, in piedi, ancora con le forbici in mano. Puntò contro la pistola all’omicida e chiamò i rinforzi dalla centrale per arrestarlo. Andò poi dalla ragazzina e la portò con se in centrale per interrogarla. Come aveva potuto sapere dell’omicidio in anticipo? La piccola, dopo aver passato qualche minuto chiusa nel mutismo si aprì, rivelando che aveva avuto l’informazione da un signore mentre giocava nel giardino di casa sua. L’agente Laurent le chiese di descriverle la persona che l’aveva avvertita per fare un identikit. Rabbrividì quando vide il risultato: assomigliava in tutto e per tutto al suo vecchio amore, l’agente che l’aveva sempre affiancata durante la sua carriera e che era morto, durante l’arresto di una banda di spacciatori.

Continua…

Snuff

Nel 1998 un giornalista statunitense si recò in un motel di quelli a basso costo, decisamente degradato e poco curato. Non era abituato ad albergare in posti tanto squallidi ma avrebbe pernottato solo per qualche giorno per svolgere qualche intervista e quello era l’unico motel rimasto libero in città. Il secondo giorno, in piena notte bussarono alla porta. Quando il giornalista andò ad aprire la porta, non trovò nessuno fuori dall’uscio. ma abbassando lo sguardo notò una videocassetta che era stata lasciata lì. Non aveva etichette ne custodia. Avendo un videoregistratore in camera, il giornalista, incuriosito, andò ad inserirla per guardarla. Le immagini che vide lo fecero rabbrividire. Era un filmato in cui una donna, seduta su una sedia, veniva lentamente torturata da due uomini incappucciati, fino alla morte. La cosa che lo colpì furono la veridicità e il realismo delle immagini, tanto che gli sembrò di trovarsi davanti ad un vero omicidio ripreso su video. Quello che pensò, però, fu di essere vittima di uno scherzo ben architettato. Ma chi avrebbe fatto uno scherzo del genere? E perché? Il terzo giorno, durante la notte, bussarono nuovamente alla porta. Svegliato di soprassalto il giornalista non fece in tempo a fiondarsi alla porta come avrebbe voluto fare e trovò, al posto del suo disturbatore, un’altra cassetta. Anche stavolta la prese, riluttante, e la inserì nel videoregistratore. Stavolta al posto della ragazza, sulla sedia vi era un giovane, forse diciottenne. Anch’esso venne torturato e fatto a pezzi con un taglierino e delle forbici, fino al sopraggiungere della morte per sanguinamento. Stavolta le immagini era poco più chiare e il giornalista intravvide un letto alle spalle della povera vittima. Continuò a domandarsi il perché di quei video e perché proprio a lui. Pensò che forse qualcuno voleva far visionare quelle immagini a un giornalista o forse voleva semplicemente divertirsi con la prima vittima presa a caso. Il mattino seguente decise di chiedere spiegazioni alla reception, ma essa era vuota e non c’era nessuno a cui porre domande. Anche la quarta sera, come al solito, arrivò il video nelle solite modalità. Anche quel video ritraeva una giovane mentre veniva torturata, al solito, ma le immagini erano sempre più chiare. Il giornalista riconobbe una serie di cassette ai piedi del letto e un comodino simile a quello della camera. Rimase totalmente sgomento quando si accorse che, quella, era proprio la sua camera. “Ma che diavol…” non fece in tempo a finire la frase, che bussarono nuovamente alla porta. Un brivido gli corse lungo tutta la schiena e si avvicinò lentamente alla porta. Quando la aprì, vide i due uomini incappucciati che lo stavano attendendo..

L’incidente

Nel 2006 un gruppo di ragazzi spagnoli stavano trascorrendo tranquillamente le vacanze in Australia. Una sera, però, mentre erano in auto di ritorno da uno dei locali di zona, trovarono sul ciglio della strada una ragazza intenta a fare l’autostop. La ragazza era totalmente vestita di bianco ed il suo abito era stracciato e ricoperto di fango lungo i lembi, come se fosse caduta, rotolando giù dalla collina che costeggiava la strada. Ai lati della carreggiata la vegetazione era fittissima e la ragazza era pericolosamente costretta a sostare quasi in mezzo alla strada per farsi vedere. I tre, preoccupati, decisero di fermare l’auto per darle un passaggio. Ella salì ringraziandoli sostenendo, con marcato accento tedesco, di essersi persa e di dover tornare alla propria destinazione. I ragazzi non si fecero grossi problemi benché il volto della ragazza, nell’oscurità della notte, apparisse emaciato e decisamente troppo pallido. Il ragazzo seduto dietro con lei le chiese per questo se stesse bene, ma lei rispose che non aveva problemi e che voleva solo tornare da dove era venuta. La macchina continuò a marciare per circa un paio di chilometri. La strada era tutta dritta ed era una di quelle classiche strade di campagna che portano al centro cittadino: decisamente isolata, senza incroci, sbocchi ne parallele. Il ragazzo dietro le chiese anche del perché avesse le vesti sporche e stracciate e se era stata vittima di qualche tipo di violenza. La ragazza con voce bassa e fredda, quasi atona, rispose che non aveva subito nessun tipo di violenze e che la veste si presentava in quelle condizioni per colpa del caso, “solamente del caso e nulla più”. Cominciò poi a maledire il destino, destando la preoccupazione dei tre che però non fecero domande pensando fosse ancora traumatizzata e convincendosi che, probabilmente, era stata davvero vittima di violenza. L’auto fece ancora qualche chilometro mentre la ragazza cominciò a pregare il conducente di non sbandare: “non sbandare, ti prego, sii attento”, ripeteva sempre più incessantemente mano a mano che l’auto avanzava. “Rallenta”, disse, “Va piano” continuò. Il ragazzo alla guida rallentò fino a raggiungere una velocità minima “Ecco, sono arrivata”, e i tre rimasero stupiti dato che si trovavano ancora in mezzo al nulla, contornati solo da vegetazione. “Cosa?” chiese il conducente, “Io sono morta qui, in un incidente stradale” rispose la ragazza. L’auto poi sbandò, nonostante la velocità minima, e finì in testa coda.
Quando il conducente riprese il controllo, a fatica, la ragazza era sparita.

Distopia

Ci sarà un giorno in cui i morti ibernati torneranno a vivere. Essi, essendo morti in vecchiaia all’età media di ottant’anni, torneranno a respirare nel mezzo di una vita di durata media e avranno così una nuova esistenza da poter esaurire. Saranno considerati saggi, poiché provengono da tempi antichi in cui non tutto era perduto, dove l’amore e i sentimenti venivano ancora provati dagli esseri umani ed essi li portano con se, nel mondo nuovo. Ricordano a tutti com’era bello sorseggiare l’acqua da una sorgente mentre il sole batteva imponente sulle cime della montagna, o come ci si sentiva a far dondolare il proprio figlio su un’altalena, vedendolo libero in mezzo alla gente, giù al parco. Oppure, ricordano di quanto fosse soddisfacente, dopo una giornata di lavoro, radunare la famiglia attorno al tavolo imbandito per la cena. Altri ancora ricordano quanto fosse intimo pregare in quelle vecchie chiese del 600, o come si rizzavano i peli del corpo al suono di un grammofono da cui usciva ribelle la voce di Edith. La maggior parte di loro, cercano in tutti i modi di riportare il mondo ai vecchi fasti, quando non tutto ancora era perduto…

La bambola pt. 2

Qualche giorno dopo, la madre rimase totalmente terrorizzata quando udì, in piena mattinata, un altro grido della figlia che sedeva sempre sul pavimento della propria camera. Si precipitò anche stavolta nella stanza della figlia e la trovò in lacrime, mentre osservava la bambola che era rimasta privata dei capelli. La cosa che la sconcertò fu che non riuscì a trovare le ciocche scomparse da nessuna parte. Passò circa un mese, quando Mina si svegliò di soprassalto durante la notte. Davanti a lei la figlia Luna, con le forbici in mano, stava tentando di tagliarle una ciocca di capelli. “Sono per la bambola”, si giustificò lei con voce innocente. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso: Mina decise che era il momento di restituire quella bambola al parroco che l’aveva regalata alla figlia, e lo contattò il giorno stesso. Luna non fece capricci ma cominciò a guardare di traverso la madre. Il parroco acconsentì alle richieste della madre e prese con se la bambola. Questa anche fu la goccia che fece traboccare il vaso: Luna il giorno dopo si recò a svegliare la madre, ormai più senza capelli, ma essa non rispose alla sua voce ne ai suoi tocchi. Era fredda. Chiamò il papà che era già uscito per lavoro ed egli tornò subito a casa, seguito dalla polizia. Mina era morta da poco, il cadavere era già caldo, ed era morta, probabilmente soffocata. Gli inquirenti furono sconvolti quando trovarono delle impronte da bambino sul corpo della donna e tornarono a casa per interrogare la ragazzina. “Non sono stata io” disse con la solita voce innocente e più tardi arrivò una notizia terrificante dalla centrale: le impronte sul corpo di Mina non era impronte digitali, ma semplici impronte di dita, come se mancassero quelle lineette che caratterizzano le impronte comuni. Un investigatore, di nascosto e fuori dalla procedure ufficiali, decise di andare a far visita al parroco e gli chiese di mostrargli la bambola. Voleva osservarle le dita e compararle con le impronte ritrovate. Quando il parroco aprì le porte dell’armadio in cui l’aveva riposta, notarono entrambi con sgomento che la bambola era sparita…

Potrebbe continuare..

Poesia horror – L’assassino

Poesia horror – L’assassino

Il suo passo s’avvicina lento,
ancora non lo vedo, ma lo sento.
Una porta sbatte, sospinta dal vento,
il cuore impazzito diventa un tormento.

Dall’armadio fisso, attraverso la fessura,
il suo riflesso è nel buio, sale la paura-
S’avvicina, mi supera, poi di nuovo si gira.

Trattengo il fiato,
Ma dalla stessa fessura mi ha scrutato.

Mi ha trovato.

La bambola

Qualche tempo fa viveva in una casa vicino al centro di Verona, una normalissima coppia di genitori, Alessandro e Mina. La loro figlioletta di nove anni, invece, si chiamava Luna. Luna era una ragazza poco socievole, molto chiusa in se stessa ma molto intelligente. Nonostante la ragazzina non avesse amiche amava molto giocare con le bambole che i genitori le regalavano sempre e sfogava tutta la sua solitudine giocando tutto il pomeriggio con esse. Da buoni cristiani, Alessandro e Mina portavano spesso la figlia al catechismo in una chiesa che era edificata nei pressi della loro casa. Luna aveva un ottimo rapporto col parroco, forse la sola persona con cui riusciva ad aprirsi totalmente. Parlava sempre di se e del suo rapporto coi genitori e i due erano affezionatissimi, tanto che il parroco, per il suo compleanno, decise di cederle una bambola che aveva sempre tenuto. Non era la solita Barbie e forse non era adatta ad una bambina, poiché era una bambola di porcellana di quelle che si tengono sui letti come arredamento. Tuttavia, il parroco decise di cedergliela sapendo della sua passione per quel tipo di oggetti. Luna ne fu molto felice e la portò subito a casa con se. Lungi dal tenerla sul letto come ornamento, cominciò a giocarci così come faceva col resto delle bambole. Sviluppò però, col tempo, una sorta di predilezione verso quella bambola in particolare. La madre, che a volte la controllava mentre era intenta a giocare nella propria camera, pensò che quell’affetto fosse legato dal fatto che il giocattolo le era stato regalato dal parroco e forse anche perché ultimo arrivato fra gli altri. Luna amava spazzolarle i capelli e a volte, la madre la sentì parlare con essa sottovoce, come se le bisbigliasse delle cose all’orecchio. Pensò normale anche quest’aspetto e non disse niente al marito, ne tantomeno alla figlia. Poco tempo più in là, però, a notte fonda, mentre tutti dormivano, si udì un gran boato provenire dalla stanza di Luna, seguito da un suo grido spaventato, come se qualcosa le fosse caduto addosso. I genitori, terrorizzati e preoccupati per le sorti della piccola, piombarono nella sua camera e la trovarono seduta in terra, con le ginocchia incrociate, a parlare con la bambola “Non è successo niente, non preoccuparti”. I genitori chiesero a Luna cosa fosse successo e lei indicò un armadio a parete che era praticamente crollato verso il centro della stanza. I due se ne accorsero solo quando accesero la luce…

Continua…