Identikit pt. 2

Quando l’omicida venne interrogato dai colleghi dell’agente Lauren, apparve in stato confusionale e disse di non ricordare nulla dell’accaduto. Ricordava solamente gli attimi prima dell’omicidio e disse di aver ricevuto consiglio di uccidere la propria moglie da un uomo “vestito come una agente dell’Fbi”. Venne chiesto all’assassino di descrivere i lineamenti di quell’uomo così da fare un identikit. Quando lo presentarono all’agente Lauren, essa ebbe quasi un mancamento notando che l’aspetto corrispondeva in tutto e per tutto a quello dell’altro identikit e, quindi, ancora una volta all’agente che l’aveva affiancata per anni. Venne richiesta una perizia psichiatrica per l’assassino mentre la bimba tornò dai propri parenti, avendo detto agli agenti tutto ciò che sapeva sull’accaduto. Quando l’agente Lauren tornò nella casa del delitto, per ispezionare la scena, successe una cosa alquanto strana: un libro cadde dalla libreria, ed era “Mangia, prega, ama – una donna cerca la felicità”. Sembrò come se qualcuno l’avesse fatto cadere di proposito, ma nella casa, l’agente Lauren, era sola. Si accorse, subito dopo, che dal bagno proveniva un rumore d’acqua scrosciante. La doccia era accesa. Quando entrò nel bagno l’agente scoprì che sul vetro vi era una scritta, fatta col dito usando la condensa creatasi grazie al calore dell’acqua: “Ti amo ancora”. Tornata in centrale, Lauren interrogò nuovamente l’accusato. Egli sostenne di aver fatto quella scritta e quando gli venne chiesto il motivo, sostenne d’averla scritta secondo il consiglio dell’uomo dell’identikit, appena prima d’uccidere la moglie. Ricordò inoltre come, poco dopo l’omicidio, quella figura fosse praticamente sparita nel nulla. Non si è mai saputo nient’altro di questa storia ne di chi fosse quell’uomo, ma nella testa dell’agente Lauren è e sarà sempre il suo vecchio compagno, tornato apposta indietro per architettare quell’omicidio e per dirle, che nonostante la mancanza, l’amava ancora.

Identikit

L’agente Lauren era uno degli agenti più anziani ed esperti di tutta Los Angeles. Ormai, da anni, lavorava da solo senza l’apporto di colleghi e senza quasi mai recarsi in centrale. Aveva, negli passati, un collega a cui era legata anche sentimentalmente il quale era morto in una sparatoria durante l’arresto di una banda di spacciatori di droghe. Una mattina ricevette una telefonata dalla centrale; una ragazzina aveva telefonata avvertendo di un imminente omicidio che sarebbe avvenuto di lì a poche ora nei pressi di casa sua. Curiosi su come la bambina avesse potuto avere tale informazione, mandarono l’agente Laurent a verificare. Nonostante non fosse un caso complesso glielo affidarono lo stesso in quanto unico agente libero in zona. L’agente Laurent si diresse verso il luogo del futuro delitto e trovò la ragazzina in lacrime, fuori da casa sua. Le venne indicata la casa a fianco e Laurent fece irruzione, trovando una donna completamente squarciata da un coltello e il marito, in piedi, ancora con le forbici in mano. Puntò contro la pistola all’omicida e chiamò i rinforzi dalla centrale per arrestarlo. Andò poi dalla ragazzina e la portò con se in centrale per interrogarla. Come aveva potuto sapere dell’omicidio in anticipo? La piccola, dopo aver passato qualche minuto chiusa nel mutismo si aprì, rivelando che aveva avuto l’informazione da un signore mentre giocava nel giardino di casa sua. L’agente Laurent le chiese di descriverle la persona che l’aveva avvertita per fare un identikit. Rabbrividì quando vide il risultato: assomigliava in tutto e per tutto al suo vecchio amore, l’agente che l’aveva sempre affiancata durante la sua carriera e che era morto, durante l’arresto di una banda di spacciatori.

Continua…

L’incidente

Nel 2006 un gruppo di ragazzi spagnoli stavano trascorrendo tranquillamente le vacanze in Australia. Una sera, però, mentre erano in auto di ritorno da uno dei locali di zona, trovarono sul ciglio della strada una ragazza intenta a fare l’autostop. La ragazza era totalmente vestita di bianco ed il suo abito era stracciato e ricoperto di fango lungo i lembi, come se fosse caduta, rotolando giù dalla collina che costeggiava la strada. Ai lati della carreggiata la vegetazione era fittissima e la ragazza era pericolosamente costretta a sostare quasi in mezzo alla strada per farsi vedere. I tre, preoccupati, decisero di fermare l’auto per darle un passaggio. Ella salì ringraziandoli sostenendo, con marcato accento tedesco, di essersi persa e di dover tornare alla propria destinazione. I ragazzi non si fecero grossi problemi benché il volto della ragazza, nell’oscurità della notte, apparisse emaciato e decisamente troppo pallido. Il ragazzo seduto dietro con lei le chiese per questo se stesse bene, ma lei rispose che non aveva problemi e che voleva solo tornare da dove era venuta. La macchina continuò a marciare per circa un paio di chilometri. La strada era tutta dritta ed era una di quelle classiche strade di campagna che portano al centro cittadino: decisamente isolata, senza incroci, sbocchi ne parallele. Il ragazzo dietro le chiese anche del perché avesse le vesti sporche e stracciate e se era stata vittima di qualche tipo di violenza. La ragazza con voce bassa e fredda, quasi atona, rispose che non aveva subito nessun tipo di violenze e che la veste si presentava in quelle condizioni per colpa del caso, “solamente del caso e nulla più”. Cominciò poi a maledire il destino, destando la preoccupazione dei tre che però non fecero domande pensando fosse ancora traumatizzata e convincendosi che, probabilmente, era stata davvero vittima di violenza. L’auto fece ancora qualche chilometro mentre la ragazza cominciò a pregare il conducente di non sbandare: “non sbandare, ti prego, sii attento”, ripeteva sempre più incessantemente mano a mano che l’auto avanzava. “Rallenta”, disse, “Va piano” continuò. Il ragazzo alla guida rallentò fino a raggiungere una velocità minima “Ecco, sono arrivata”, e i tre rimasero stupiti dato che si trovavano ancora in mezzo al nulla, contornati solo da vegetazione. “Cosa?” chiese il conducente, “Io sono morta qui, in un incidente stradale” rispose la ragazza. L’auto poi sbandò, nonostante la velocità minima, e finì in testa coda.
Quando il conducente riprese il controllo, a fatica, la ragazza era sparita.

Gli infermieri

Una gelida notte d’inverno presso l’ospedale Cardarelli di Napoli, tre giovani laureandi in infermieria stavano svolgendo il loro turno di notte previsto dal percorso di tirocinio che stavano affrontando presso l’università. Nessun infermiere di ruolo passò con loro la notte in quel reparto, cosa piuttosto insolita per la routine ospedaliera. Alle dieci sera effettuarono l’ultimo giro dei letti, per assicurarsi che i pazienti stessero tutti bene e che fossero pronti per addormentarsi. Nessun problema venne riscontrato. Alle dieci e venti spensero le luci e si ritirarono nello stanzino, appunto, degli infermieri. Accesero la luce e cominciarono a guardare la tv, Verso mezzanotte e tre quarti, tutti e tre erano ormai praticamente quasi dormienti quando alla porta si udì bussare tre volte. I tre si alzarono di soprassalto, sorpresi dallo strano fatto “Chi mai può essere a quest’ora? Siamo in rianimazione!”, disse uno di loro “Sarà qualcuno dagli altri reparti, forse hanno bisogno d’aiuto”, disse il secondo, mentre il terzo si affrettò ad aprire. Fuori dalla porta, però, non c’era nessuno. Non sapendosi spiegare l’accaduto, pensarono ad uno scherzo di qualche paziente un po troppo vivace, probabilmente proveniente da un altro reparto. Fecero per riaddormentarsi ma dopo una mezz’ora, un’altra volta, tre volte bussarono alla porta. Si alzarono nuovamente ed aprirono la porta, stavolta di scatto. Non trovarono però ancora nessuno, ne fuori la porta ne lungo il corridoio. Più infastiditi che spaventati, chiamarono lo stanzino del reparto accanto per segnalare di qualche paziente “troppo giocherellone” che si divertiva a bussare alla loro porta, ma dopo aver fatto un veloce giro letti gli altri infermieri confermarono che tutti stavano dormendo. I tre si guardarono basiti e il timore cominciò a divenire paura. Si rimisero sui loro giacigli per assopirsi nuovamente, ma nessuno dei tre chiuse occhio, finché, sempre mezz’ora più tardi, alla porta bussarono altre tre volte. Stavolta i tre si alzarono ed uscirono sul corridoio. Per scrupolo fecero un altra volta il giro dei letti, scoprendo che, nel frattempo, il paziente del letto tre era deceduto.

Buio

Quella notte il ragazzo scese la vecchia scala di legno che dalla sua mansarda portava direttamente alla strada. Attorno a lui il buio più totale e un silenzio mortale. Appena sceso in strada, incontrò subito l’unica luce presente in città: proveniva fioca dalla lanterna della ragazza che lo attendeva. Si avvicinò a lei e strinse la lanterna nella sua mano. Senza guardarla e senza parlare, tirò dritto per la sua strada. Sapeva che non l’avrebbe più vista.

La strada era popolata da ombre che si muovevano flemmatiche, senza accorgersi l’una dell’altra. Ovunque si girasse, tutto era buio e tutto ciò che lo circondava aveva un’aria tetra, fredda e minacciosa. Il ragazzo continuò a camminare senza sosta, per ore, in cerca di un barlume di luce, ma la città era spenta, tutta spenta.

Dopo tanto cercare, il ragazzo si stancò e smise di camminare. Rimase immobile, al centro della strada, guardandosi attorno, in ogni direzione. Non c’era nulla per cui valesse la pena di rimanere in quel posto, ma non c’erano altri posti in cui andare oltre che quello. Si lasciò prendere dallo sconforto, sentì d’essere disperato e condannato, condannato a patire il buio, condannato a non poter più godere del calore, condannato a una vita da morto.

Fu in quel momento che, ormai rassegnato, abbassò lo sguardo a terra e vide finalmente una luce. L’aveva tenuta con se per tutto il tempo, nella mano sinistra, e se n’era dimenticato a forza di cercarla altrove.

Il mattino seguente il ragazzo si svegliò nel suo letto, come sempre. Il sole splendeva alto in cielo e illuminava ogni cosa. Scese di corsa le scale della sua mansarda, che portano direttamente alla strada. I bambini si rincorrevano felici, mentre la gente passeggiava serena, chiacchierando per le vie.

Aveva smesso di pensare a quella ragazza e non ricordava nulla dell’incubo che aveva appena vissuto, ma non aveva dimenticato di portare un po di buio con sé.

La rosa

La Rosa.

Una sera in un locale notturno di Barcellona, una coppia di giovani vide una ragazza avvicinarsi al loro tavolo. Era una venditrice di rose. A differenza degli altri venditori di rose però, Agata, questo era il suo nome, regalava una rosa ogni cinque vendute, ad un ragazzo. Questo ciò che disse alla giovane coppia. La ragazza, così, acconsentì e lasciò che essa regalò una delle sue rose al suo ragazzo. Notò con piacere che scelse una delle più fresche, ancora chiusa e poco consumata. Il ragazzo la prese e la tenne sul proprio comodino, in ricordo della serata trascorsa e del piacevole accadimento. Pian piano però, cominciò a stare male e ad avere problemi alla vista, come se gli occhi fossero perennemente appannati e spenti. Ben presto, inoltre, subentrarono altre problematiche come giramenti di testa e pressione molto bassa, finché un bel giorno svenne a lavoro. La rosa, intanto, cominciava ad appassire, insieme al ragazzo. Quando il fiore morì, anche egli si spense definitivamente. La fidanzata, andando a casa sua, si accorse della rosa appassita. Dapprima pensò d’essere uscita fuori di senno per via del lutto, poi però prese l’idea sul serio e ricollegò l’evento della rosa con l’inizio dei problemi del proprio fidanzato. Ricordava solamente la fisionomia della ragazza ed il suo nome, così cominciò a girare per i locali della città chiedendo di una venditrice di rose, di nome Agata, molto pallida e dagli occhi azzurri molto chiari, quasi sbiaditi. Le ricerche furono vane, finché una sera di pioggia, un’altra coppia le disse che quella ragazza era una sua conoscente, ma che era morta da tempo e che perciò aveva sicuramente sbagliato persona. Da quel giorno ella si convinse d’aver sbagliato a ricollegare quell’avvenimento alla morte del proprio fidanzato e demorse. Una sera, però, mentre era in un locale della città con delle compagne d’università, vide, in lontananza e di sfuggita, una coppia di ragazzi che vendeva rose, molto simile ad Agata ed al suo ragazzo.

Elisa Lam e l’ascensore per l’aldilà

Questa non è una storia ma un fatto di cronaca realmente accaduto a Los Angeles. Elisa Lam era una ragazza asiatica che, nel 2013, è stata trovata morta all’interno di una cisterna per l’acqua, sul tetto del Cecil Hotel. Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione e fu trovato solo grazie alle segnalazioni degli altri clienti dell’hotel, che riferirono di uno strano e cattivo odore proveniente dai rubinetti dell’acqua. Gli investigatori pensarono subito ad un caso di omicidio, poiché la cisterna era stata chiusa dall’esterno e sarebbe inoltre stato impossibile, per la ragazza, riuscire ad aprire da sola il portellone per entrare all’interno. Dell’assassino, però, non c’era traccia. Fu ipotizzato inoltre che il delitto fosse stato commesso da qualcuno appartenente al personale dell’hotel, in quanto l’accesso alle scale esterne che porta al tetto è accessibile solo grazie ad una chiave posseduta solo dallo staff. Tutti i membri del personale però, godevano di alibi indistruttibili e avvalorati da numerose testimonianze. Il caso sembrava non avere risoluzione fin quando gli investigatori controllarono le registrazioni delle telecamere di sicurezza dell’albergo. Quello che videro li lasciò letteralmente a bocca aperta. Dalle registrazioni della telecamere posta sull’ascensore, infatti, poterono osservare gli ultimi istanti di vita della ragazza che tentava probabilmente di salire verso il tetto. L’ascensore però non sembrava funzionare, nonostante Elisa premesse ripetutamente diversi tasti. Ciò che lasciò più perplessi gli inquirenti però, furono gli strani movimenti eseguiti dalla ragazza all’interno e all’esterno dell’ascensore. Elisa infatti, inizialmente sembrava nascondersi da qualcun altro presente al piano, ma ad un tratto, cominciò a gesticolare in maniera strana e indecifrabile, come a voler comunicare con qualcuno li presente;la telecamera, però. non immortalò nessun altro oltre lei. Numerose furono le domande senza risposta che sorsero da queste nuove prove, ma la faccenda venne considerata da molti conclusa,quando si sparse voce che il computer di Elisa fu controllato dalla polizia, con risultati decisamente agghiaccianti: nella cronologia dei siti web visitati, venne trovato l’indirizzo di un sito coreano, nascosto ai motori di ricerca e non accessibile a tutti. I tecnici che trovarono quel sito rimasero sconcertati ricordando il video dell’ascensore. C’era infatti una sola pagina visitata da Elisa, relativa ad un rito esoterico chiamato “Ascensore per l’aldilà”. Non c’era nessun tipo di spiegazione su di esso, se non le regole da seguire per compierlo:

“1) Hai bisogno di un ascensore all’interno di un edificio che abbia almeno dieci piani.
2) Hai bisogno di essere solo. Se qualcuno entra mentre stai eseguendo il rito, ricomincia da capo.
3) E’ bene che tu non provi a filmarti o fotografarti mentre esegui il rito. Potrebbe non funzionare.
Queste sono le azioni che dovrai compiere:

Prendi l’ascensore al primo piano.
Una volta entrato, premi il tasto per il quarto piano. Quando sei al quarto, premi il tasto per il terzo, poi ancora per il sesto e, sempre quando sarai li, premi per andare al quinto piano.

Quando arriverai al quinto piano, entrerà una ragazza nell’ascensore. NON guardarla negli occhi, NON parlarci, NON fare caso a lei. Lei non è quello sembra. Una volta entrata la ragazza, premi ancora per arrivare al secondo piano, poi, premi il tasto del decimo piano.

A quel punto ci sono due possibilità: l’ascensore, invece di salire, potrebbe scendere fino al primo piano. Se succede questo, esci SUBITO dall’ascensore, non voltarti e non parlare con la ragazza. Lei ti chiederà “dove stai andando?”, tu NON risponderle per nessun motivo al mondo.

Se invece l’ascensore andrà fino all’ultimo piano, esci sul corridoio e, se il rito è andato a buon fine, intorno a te sarà tutto buio e non ci sarà nessuno. Puoi controllare qualsiasi apparecchio elettrico tu abbia con te, se sei arrivato a destinazione, non funzionerà. Per tornare indietro, devi tornare nell’ascensore. La ragazza non ci sarà più, NON chiederti dove è andata e NON chiederlo ad alta voce. Per tornare indietro, a questo punto, devi premere tutti i tasti che hai premuto all’inizio ma in ordine inverso. Quando sarai di nuovo al primo piano, se le luci funzioneranno e incontrerai qualcuno, sarai uscito correttamente dal rito. Controlla le apparecchiature elettriche se hai ancora dubbi.”

Si dice che il sito è stato chiuso dalle autorità in seguito all’accaduto e nessuno ha mai dato spiegazioni sul delitto.
Qui sotto trovate il video di Elisa e, forse, della ragazza dell’ascensore.